mercoledì 15 luglio 2015

Gli anni al contrario. Nadia Terranova. Einaudi.

Cosa funziona:
1.       Impaginazione e design (8)
2.      Scrittura fredda, distaccata; priva di giudizi ma anche di slanci emotivi. E in una trama che si snoda negli anni di piombo, dipinge con taglio documentaristico i paradisi artificiali dai quali si è salvato chi ha accettato il compromesso (6)
3.      Il carattere di stampa non è più il favoloso Simoncini LT degli anni Sessanta, ma rimane lo stesso più che discreto, rilassante (8)
4.      Eccesso di frasi fatte nella recensione. Appena sufficiente (6)
5.      Liner notes, carta, risvolti: lo stile – libero – Einaudi resiste ancora (8)

Cosa non funziona:
1.       Il prezzo. Va bene l’inflazione, ma 16 euro per 144 pagine no, non ci siamo (5)
2.      Scarsa coerenza e approfondimento degli eventi. Da dove spunta, tanto per fare un esempio, la ribellione di Giovanni? Sembra un figlio di papà rapito dal brivido della contestazione, per non parlare poi della mancanza assoluta di pathos. La storia d’amore spunta come un fungo, per caso, e tanto lui quanto Aurora attraversano ogni cosa quasi come automi (4)
3.      La bassa fedeltà storica. Prima di scrivere è bene fare serie ricerche, specie se ci si occupa di un periodo non vissuto (5)
4.      Il taglio giornalistico del narrato pare una galleria di copertine borghesi di Destra. È uno dei difetti di certa narrativa furbacchiona, che sforna pregiudizi e convenzioni per cesellare miti su un’epoca di ideali esasperati (4)
5.      Domanda: è ancora necessario guardare indietro, negli anni al contrario, per andare avanti? È il messaggio, trito e ordinario, che qui si lancia. Purtroppo, l’unico (4)
6.      I dialoghi, nella seconda parte del libro, sono alquanto immaturi. Di cosa si è occupato, nel frattempo, l’editor? (5)
7.      Copertina dozzinale, insipida. Non si distingue da tante altre, identiche (4)

Media voto: 5,5 rivedibile al ribasso, qualora mi venisse il ticchio di rileggerlo. 

mercoledì 1 luglio 2015

Cattiverìa. Rosario Palazzolo. Perdisa Pop.

Cosa funziona:
1.       La storia. Tensione, spessore, con un finale mozzafiato (8)
2.      Il linguaggio dell’autore. Uno streaming da acrobata dell’immaginario, un puzzle di alto lignaggio, ironico e salace, che costringe a un’attenzione costante, ma di fronte al cui invito è impossibile resistere (8)
3.      Front cover definibile con un solo aggettivo: geniale (9)
4.      Lungo tutto l’arco del romanzo si percepisce come Palazzolo potrebbe scrivere in modo dotto, difficile, però non lo fa: sceglie un monologo interiore più accessibile, che insiste sul gioco grottesco delle illusioni e spiega senza spiegarsi – cioè lasciando al lettore il ruolo di interprete – un messaggio che è l’equivoco su cui si fonda il mondo degli uomini (8)
5.      Sette refusi, ma editing di buona qualità (8)
6.      Prezzo del volume. Sedici euro ben spesi (7)
7.      L’ambientazione del romanzo e l’ansia claustrofobica di sapere, di capire, di vedere “come va a finire”, per citare una celebre canzone. Un labirinto di specchi tra violenza e abitudine che nasconde la verità fino a mostrare quant’è inverosimile l’essere. L’idea, insomma, è da 10.

Cosa non funziona:
1.       Al lettore più distratto, i periodi interminabili e la lingua sgrammaticata per scelta possono dare un senso di smarrimento, anche se solo iniziale (5)
2.      Qualche postmodernismo di troppo, sebbene anche qui riconosca di essere più ingenerosa che mai (5)
3.      Impianto di promozione della casa editrice non eccezionale. Belle moltissime delle recensioni – thrillerpages, kultural, liberidiscrivere, poetarumsilva, contornidinoir – però si poteva e si doveva fare di più (4)

Meda voto: 7,2. Ci vuole tanto, tanto cinismo per trovare dei difetti a questo prodotto, che rappresenta al meglio il concetto delle antiche tragedie greche, modernizzato.